Moena: Settima Tappa

La tappa di oggi è Moena, ancora in Trentino, ancora nelle Dolomiti. Ho acqua salata nelle vene ma comincio a sentirmi a casa tra queste montagne. L’esperienza di Lavarone è terminata. Sono sempre più convinto che questo viaggio sia come riempire il serbatoio. Sto vedendo posti bellissimi, conoscendo persone interessanti e non rinuncio alla mia musica. Silvia è tornata a casa. Lucia mi da un passaggio in stazione. Destinazione Trento, e da li in autobus verso la Val di Fassa.
Il viaggio è qualcosa che cresce ogni giorno. L’autobus si snoda tra le valli. Mi guardo intorno. I compagni del torpedone. Molti di loro hanno facce serene, talvolta assorte. Mi piace indovinare la loro storia. Nessuno parla. Stiamo condividendo un momento della nostra vita tra questi sassi di una bellezza unica. Un gruppo fatto di persone sole. Adoro le persone che hanno imparato a stare da sole, perché quando decidono di avvicinarsi a qualcuno è perché ci tengono davvero e non perché ne hanno bisogno. Ognuno di noi sta facendo una strada più o meno difficile. I posti che sto visitando, la gente che incontro, dicono tutte una cosa sola: la felicità è come un gioco, arriva per tentativi. Come Edison ed i suoi 5000 tentativi (passi in avanti) prima di sviluppare la lampadina.
Fino a qualche anno fa ero un ingegnere. Ora faccio l’ingegnere. La differenza è sostanziale. Ho passato tanta parte della mia vita a considerare la scienza come verità assoluta. Il metodo scientifico, un modo di essere e non solo di fare. Ho fatto fatica a credere a quello che per me era visibile, figuriamoci a quello che non lo era. Un po’ la deformazione professionale, un po’ la mia formazione, un po’ il sottile piacere di portare le discussioni sempre su questo campo per poter esibire una logica nella quale mi sentivo a casa. Poi sono successe alcune cose al di fuori di qualsiasi schema, e sono stato obbligato a pensarci. Ora considero la logica un gustosissimo primo piatto servito durante un pranzo di matrimonio, sto iniziando a gradire anche il resto. L’autobus è arrivato. Piaz de Navalge, a due passi dalla zona pedonale e dal Kusk, il locale dove suono questa sera. Vado a piedi, è il momento di farmi vedere dai proprietari. I tavolini fuori, le tovaglie bianche, le sedie in plastica, non c’entrano nulla con quello che c’è dentro. Due piani, tutto in legno, caldo, accogliente. Mi presento, leghiamo subito. Facciamo due chiacchiere su come gestire la serata, mi fanno vedere la mia postazione, le attrezzature, i loro sorrisi e la loro parlata trentina. Insistono per offrirmi il pranzo. Accetto proprio volentieri, andrò a cercare il posto per me e la mia chitarra nel pomeriggio. Questo locale è splendido. Lascio la chitarra, mi parlano della loro clientela e del loro paese. Calvino sosteneva che i liguri fossero di due tipi, quelli che girano il mondo e quelli attaccati alla loro terra con radici possenti. La amano in modo viscerale e non riescono a staccarsi. Non vedo differenze qui. Amare il proprio paese, aver voglia di raccontare di se alle pietre che ci hanno visto crescere è un bel modo di diventare grandi insieme. Mi chiedono se voglio una specialità locale o preferisco altro.
– Grazie, ma preferisco stare leggero, ho tempo domani di apprezzare tutto. Per adesso se avete una insalata sarebbe perfetto.
Mi guardano in modo strano… cerco di rimediare almeno un po’. Punto all’orgoglio alcolico e dei produttori di vino. Ogni piccola regione in Italia ha un proprio vino insuperabile e spesso sconosciuto se non ai veri intenditori, adatto al mangiare locale. Guai a non provarlo…
– Cosa si accompagna perfettamente con una insalata? – la butto lì.
(Momento di silenzio)
– Le lacrime – mi rispondono.
Se avessi avuto dubbi sulla loro simpatia, sono fugati. Hanno ragione, non ho altro da dire. Ci facciamo una risata, mi portano una birra.
– Vada per l’insalata adesso, ma questa sera provi quello che ti prepariamo e pensiamo noi anche al vino. E se poi esageri un po’, meglio! … ‘Trova qualcuno che apprezzi il peggio di te, tanto le cose belle piacciono a tutti!’ diceva sempre mio padre.
Come dar loro torto, ho idea che sarà uno splendido soggiorno.
Dopo mangiato alcune indicazioni per girare nel paese, isola pedonale, ufficio turistico, mi parlano della chiesa di san Vigilio, quella che sovrasta il paese e di un po’ della loro storia di paese sempre in bilico tra la Baviera, il Tirolo e l’Italia, diventata anche rifugio di turchi sfuggiti alle persecuzioni austriache in Bosnia. Tutto con l’enfasi ed il trasporto di chi ama la propria terra.
Ringrazio, saluto, prendo la mia chitarra, inizio a visitare Moena. Percorro la parte pedonale che costeggia l’Avisio. Moena è appoggiata in fondo ad una conca delle Dolomiti ed è il centro di Ladinia, una regione dove il ladino è la lingua madre. Largo Vial, è invaso di ciclisti di tutte le età con gran prevalenza agli under 10. Padre con mountain bike e casco di ordinanza ad aprire il convoglio militare, figliolanza naturale, acquisita o aggregata, a seguire il capobranco, attrezzata il più delle volte con mezzi di fortuna, dalle biciclette con le rotelle, ai pattini, agli skateboard, e mamma a chiudere, generalmente in mezzo alla strada, per proteggere le truppe, anch’essa con caschi, polsiere, gomitiere, ginocchiere e catarifrangenti sparsi ovunque come da manuale tattico di sopravvivenza ciclistica in vacanza. Vivo Moena e penso alla mia città, bellissima e decaduta, abituata agli sfarzi degli anni sessanta. Ha deciso di fermarsi nell’illusione che il tempo si fermasse con lei. Le persone hanno seguito la sorte dei muri. Un bellissimo luogo prigioniero di se stesso. Qui è diverso. In fondo a via Filzi, faccio un pezzo di strada de Cernadoi per arrivare a Piaz de Ramon. Bellissima, grande, con una fontana in centro e panchine. Prendo posizione, The sky is crying di Elmore James il pezzo di inizio. Come sempre, suscito curiosità. I bambini sono fantastici. Appena sentono due note e vedono uno strumento si girano, si avvicinano, si siedono dove capita, obbligano i genitori ad ascoltare. Gli occhi aperti e la bocca spalancata. Non respirano aria, respirano la musica. Non serve traduzione ne interpretazione, sanno da soli come leggerla e viverla. Starebbero ore seduti ad ascoltare. Starei ore seduto a suonare per loro.
Meritano It hurts me too nella versione di Eric Clapton. È tutta per loro. Il blues non è solo lamento e rassegnazione. Quando vuole sa diventare forza, la forza che voglio dare a loro.
Splendida Moena…
Lavarone (parte 2), sesta tappa