Livigno: Seconda Tappa

E’ arrivato il momento di salutare il mio vecchio amico, che ricambia con il rumore inconfondibile della risacca. Questa volta vado al freddo. Livigno. È ad un passo dall’Engadina, vicino a quei posti speciali dove passavo le vacanze estive. Si partiva da La Punt con il PostAuto e dopo un’ora e mezza di curve in montagna, si arrivava in Livigno, il tempo per un po’ di shopping nel paese del duty free e poi ritorno.
Oggi vado fino a Tirano in treno e poi, da li, la corriera. Mi aspettano al Marco’s pub, hanno deciso che una serata blues a marzo, si può tentare. Non costo molto. Le piste da sci e le strutture ricettive sono in altissima stagione. È il periodo delle settimane bianche. Hanno coraggio a proporre la mia musica che non è di festa. Il viaggio in treno non è mai abbastanza lungo. Mi perdo nei pensieri e nei ricordi. Erano momenti sereni, tutto sembrava andare per il verso giusto, ma era fermo, statico, immobile. Avevo costruito i miei moli in testa, da buon sanremasco, ignorando il tanfo delle alghe marce ed alzando le protezioni nella falsa percezione di sicurezza. Non ho voluto accettare quello che il mare mi aveva spiegato. Mi parlò anche delle libecciate e delle onde che oltrepassano i moli sconvolgendo tutto. Arrivarono anche quelle. Guardo fuori. È già Tirano. È il momento di prendere l’autobus. La strada è fatta di tornanti che si aggrappano alle montagne. A Bormio il cambio, fino ad arrivare in quella spianata tra le montagne che si incastrano come dita delle mani quando si stringono che ospita Livigno. Passo davanti al Marco’s. È presto. Faccio in tempo, come sempre, a trovarmi un posto per suonare tra le persone. Mi sento a casa qui come in molti altri posti. Guardo i nomi delle vie. Da alcuni anni ci sono anche le contrade. Non è la riscoperta di un patrimonio antico, semplicemente non le avevano e le hanno create, con palio/trofeo annesso. Sono alla 35° edizione quest’anno. Non è un tornare indietro, è un andare avanti ricordando da dove si proviene.
Faccio due passi nel centro, l’antico fondovalle, “i Plan” come la chiamano qui. Vado avanti fino alla piazza del Comune. Trovo un posto al sole, non è caldo come a Sanremo, ma l’aria ti entra dentro. Ho fatto molti chilometri voglio iniziare con “walking blues”, credo sia il pezzo adatto. Le persone mi girano intorno. Qualcuna si ferma. Sorride. Hanno voglia di parlare, e questo mi piace molto. Sto tornando a ricaricarmi di quella energia positiva che non sentivo da tanto tempo. Questo è il primo segno evidente. Iniziano le domande, prima timide, sempre quelle, poi, quando si accorgono che anche io ho voglia di parlare con loro e non sono affatto pericoloso, la conversazione si fa più interessante. Le domande arrivano alla sfera personale. Non aspettavo altro, il resto è solo facciata. Una signora bella, con la sua pelliccia finta ed il trucco appena accennato, mi sorride dietro gli occhiali da sole. La sua amica, di fianco, con pelliccia vera, mi guarda incuriosita.
– Lei fa questo di mestiere? – mi chiede.
– Si, adesso si, fino a qualche mese fa facevo l’ingegnere elettronico, un lavoro che mi piaceva molto, ma per ora ho cambiato strada.
– Che scelta strana. Non le piaceva?
– Si, ma voglio provare altro – il tono della mia voce è davvero disteso, mi scappa anche un sorriso in mezzo a tutto quel bianco. Lo sguardo della signora non lascia scampo.
– Posso farle io una domanda?
– Certo, mi dica.
Questo è un momento particolare. Sto per dare un colpo basso. È pronta la domanda delle cento pistole. Le reazioni sono spesso curiose. Vediamo cosa succede.
– Come si chiama?
– Era questa la domanda? Elena comunque.
– No no, non era questa la domanda. Elena, volevo chiederle se è felice.
Elena mi guarda come si guarderebbe un alieno. La domanda in se non è complicata, e se una persona non si è mai posta neanche il problema, la risposta viene automatica, fredda, immediata. Sta pensando al tranello che si nasconde dietro a questo innocente quesito. Non le viene in mente nulla. Poi, assume una postura curiosa, come a voler mostrare orgoglio per quello che sta per dire.
– No, guardi, felice no, assolutamente mai. Ho avuto qualche momento di serenità, come tutti, ma felice mai.
Non è la prima che mi risponde in questo modo. È la prima che ostenta con orgoglio la propria infelicità. Anche la sua amica la guarda incuriosita del tono e del contenuto della risposta.
– Accidenti Elena, e ne sei contenta? – le dice
– Certo Silvia. Lo sai anche tu. Per guadagnarci tutto questo abbiamo dovuto lavorare molto e non c’è mai stato tempo di pensare a tali sciocchezze. C’erano cose da fare e si facevano. Basta.
Sorrido. Guardo Silvia e vedo che accenna un sorriso anche lei.
– Anche per lei Silvia è cosi?
– No, non per me. Non sono felice, ma ho passato un po’ di tempo a cercare di capire cosa potesse servirmi per esserlo. Ho fatto molte cose, molte sbagliate e molte giuste. Credo di essere sulla strada buona. – il sorriso che seguì alla frase era una firma autentica.
A loro ed a me dedico “on the road again” è una canzone del ‘78, la cantavano i Rockets, musica strana, loro tutti dipinti d’argento, voci metalliche. È il momento di regalare a questo pezzo un vestito blues, lo indossa perfettamente. In fondo sono di nuovo sulla strada, come Silvia, che forse non l’ha mai abbandonata. Elena invece temo non la incontri mai. Elena ha scelto di dormire e di essere felice a modo suo. Ridestarsi potrebbe essere peggio, perderebbe le sue certezze granitiche per approdare al mondo reale dei dubbi. Silvia lo ha fatto tempo fa. Non sempre è un vantaggio, di certo è una strada senza ritorno. Ho sempre pensato che il regalo più grande che si potesse fare ad una persona fosse di svegliarla, dare la possibilità di valutare la realtà che viviamo in modo diverso, che la felicità non fosse un dono divino ma un cammino talvolta in salita, altre volte in discesa, ma che vale sempre la pena di essere percorso. Mi sbagliavo. Non tutti hanno la forza di accettare tutto questo. Si ha a che fare con la consapevolezza, una delle fregature più grandi. Sono finite le scappatoie e le scusette quando si è consapevoli. Occorre scegliere, ed anche non scegliere, alla fine è scegliere di non scegliere, ma lo si capisce. Ho incontrato tante persone innamorate della Vita, altre che non lo avevano ancora ammesso. Essere felici è una responsabilità che non tutti accettano. Il cielo di Livigno è bellissimo. Le notti stellate sono uniche, soprattutto se viste dalle piste. Sarebbe così facile fare una fotografia inquadrando sempre lo stesso punto usando pellicole diverse, normale, ultravioletto, infrarosso. Avremmo tre cieli diversi nello stesso cielo. Quale sarebbe la realtà? Di certo non quella che vediamo, almeno non solo quella.
Un piccolo dono che Livigno può fare a tutti noi.
Questa canzone è per voi Silvia ed Elena. Amiche di un giorno.