Lavarone, il Belvedere: Sesta Tappa

Dopo la colazione, ci prepariamo per andare a visitare il Belvedere. Lucia ha preso il caffè con noi.
– Ieri sera ho parlato con alcuni ospiti. Ci sono altre persone che vorrebbero venire al Belvedere. Che ne dite se andiamo tutti assieme?
– Certo Lucia, come ci organizziamo?
– Guardate, mi sono permessa di far preparare panini e acqua fresca per tutti. È pronto in cucina, possiamo fermarci al fortino per pranzo. È un posto bellissimo anche se nato da una tragedia, va bene per voi?
Lucia è davvero speciale.
– Certo che va bene! Noi siamo pronti!
Dove sono parcheggiate le macchine c’è un gran casino, i bambini sono eccitatissimi all’idea di andare a visitare un posto dove ci sono stati morti e “… i soldati si sparavano addosso anche con i cannoni…”. Lucia carica su una macchina i panini, un paio di torte fatte dalla cuoca per l’occasione, i beveraggi, posate e tutto il necessario.
Lucia sale con noi.
– Posso portare anche un amico?
– Certo Lucia
Apre la porta dell’altro passeggero, fa un cenno col capo e un cane salta su. Gli sguardi si incrociano. Silvia sorride.
– Scusatemi, lo abbiamo trovato davanti alla porta un mese fa. Aveva fame. Ha scelto di stare con noi. Ai bambini ed agli ospiti non da fastidio, tutt’altro. Hanno scoperto che qui gli animali sono i benvenuti.
– Sei francescana hai detto … dovevo immaginarlo, comunque fossimo stati a Gubbio poteva andare peggio
Lucia si mette a ridere nei suoi abiti marroni e bianchi da suora.
Partiamo, meta il Belvedere. La strada non è molta e Lucia, sapendolo, ne approfitta subito.
– Posso farvi una domanda difficile?
Ho avuto l’impressione da subito che le domande di Lucia, quando sono vere, non sono mai ordinarie ne banali. Lucia è una che apre le scatole e non si ferma alle etichette.
– Certo Lucia, ti rispondo volentieri.
– Io lascio rispondere a lui – dice Silvia.
– Credi in Dio?
– Si, anche se faccio fatica a vedere ovunque persone che dicono di parlare a nome Suo. Non mi voglio infilare in discorsi fasulli e troppo facili, ma mi piace pensare che abbiamo avuto quello che abbiamo avuto per usarlo.
– Spiegati…
– Mi sono chiesto spesso il perché se Dio volesse parlare con me, suo figlio, lo debba fare usando intermediari che mi spieghino cosa pensa. È troppo complicato. Mio padre era una persona senza cultura, semianalfabeta, ma con un cuore grande cosi, credeva in cose semplici per le quali non servivano interpretazioni. Ho sempre pensato che lui fosse un privilegiato nel parlare con Dio. Andava all’essenza delle cose. Forse questo aspetto, tu che sei Francescana lo puoi capire.
Lucia sorride ancora
– Lo capisco benissimo e lo condivido anche se tante volte non posso dirlo apertamente.
Si ferma un attimo, talvolta le parole generano confusione, gli sguardi sono sufficienti.
– Nel viaggio di andata, con Silvia, abbiamo parlato anche di questo e del peccato originale, di quel giogo che abbiamo al collo, di quel “siete nati per soffrire” invece di un più coerente “siete nati per essere felici”.
– Se mi permettete, io penso che l’uscita dall’Eden sia una conquista, la nostra anima ha finalmente la possibilità di crescere e di essere sempre più vicina a nostro Padre, ma passiamo il tempo a cercare di tornare in prigione. A volte dorata, altre volte no. Da quando nasciamo, chi ci sta intorno, inizia a mettere i paletti, a costruire il recinto. Non lo fa in malafede naturalmente, ma lo fa. È il nostro Eden. Le regole governano tutto, nulla è lasciato al caso ed all’improvvisazione. Il recinto ci da sicurezza. A volte, guardando oltre, verrebbe la voglia di andare, ma significherebbe lasciare il recinto, disubbidire e deludere chi ci cura amorevolmente portandoci cibo e acqua, sarebbe cogliere la mela. Allora decidiamo che anche se il cibo è sempre uguale, è pur sempre cibo, se l’acqua è spesso calda in estate e gelata in inverno, è pur sempre acqua. Non ci occorre uscire, li abbiamo tutto quello che ci serve. Non viviamo, sopravviviamo, ma in fondo siamo destinati tutti a morire, quindi, perché rischiare? Iniziare a smontare il recinto, è lungo e faticoso, non da garanzie. Se poi il recinto non c’è più occorre cercare l’acqua, il cibo, un riparo… se la troviamo, l’acqua è fresca, di sorgente, come il cibo e per il riparo, beh, lo possiamo fare come pare a noi. Ma bisogna camminare. Qualcuno lo fa.Sembra sciocco ma io sono contenta di essere una di loro, ho scelto di smontare i paletti. E da quando non sono più negli schemi tradizionali, sono diventata curiosa, imprevedibile, per qualcuno pericolosa, certamente insolita. Ho accettato la Vita, e la Vita mi ha ripagata. Quando il recinto non c’è più, è necessario imparare a guardare, a riconoscere, ad ascoltare… si trova sempre l’acqua o il cibo, bisogna solo faticare un po’, ma il gusto non è paragonabile. Sono convinta che questo sia il regalo più grande che Dio abbia mai fatto agli uomini, mostrare che si può vivere oltre il recinto e non per grazia ricevuta ma per una decisione fortemente voluta. Crescere non è un dono, ma una scelta.Per uscire occorse un atto forte come la disubbidienza, ma solo così fu possibile comprendere come esista l’amore senza dipendenza. Solo così fu possibile accettare di vivere consapevolmente ogni giorno.
Questo abito che porto non è un recinto, tutt’altro per me.
Cala il silenzio in macchina; non è imbarazzo, è stupore. Siamo arrivati al Belvedere. Non posso non pensare che da quando ho iniziato questo viaggio sto trovando persone straordinarie. Prima Silvia ed ora Lucia. Non avrei mai pensato di potermi rispecchiare in questo modo in una suora.
La visita sarà lunga, ci accoglie una guida vestita da soldato austriaco e non fa mistero del fatto che dipendesse da lui, tutta la regione dovrebbe tornare sotto un controllo teutonico
Decidiamo di mangiare prima. C’è spazio per i bambini, i genitori vengono vicino a me ed alla mia chitarra. Riescono talvolta a rimettersi i panni della coppia. Inizio con “joy to the world”, la versione blues. Mi sembra indicata, anche se poi, suoneremo e canteremo insieme. È per Lucia anche se non lo sa.